Chi conosce quest’isola lo sa. Dai paesaggi mozzafiato all’invidiata gastronomia, dal calore delle persone alle inaspettate manifestazioni più disparate: la Sicilia è capace di sorprendere. Esempio ne è Vincenzo Rabito, nato a Chiaramonte Gulfi a fine Ottocento, siciliano doc che, da qualche anno, risuona negli ambiente culturali dell’intera regione.
Quest’uomo, infatti, a distanza di un trentennio dalla sua morte ha dato testimonianza di un lato, a tratti oscuro a tratti sorprendente, dell’imprinting siculo. Se non ne avete già sentito parlare, vi chiederete cosa ha fatto poi di tanto.

In poche parole ha raccontato una vita, la sua, in un modo talmente originale e innovativo, ancora oggi nell’era del digitale, che ha ricevuto numerosi riconoscimenti in diversi ambiti. Se dicessimo che Rabito era un bracciante che partecipò a più di un conflitto per sfamare prima la famiglia d’origine e poi la propria, non ci sarebbe nulla di straordinario considerata la triste epoca in cui visse.
Egli, però, da analfabeta, dettaglio non irrilevante, segnò nella sua memoria con straordinaria dovizia di dettagli ogni esperienza della sua travagliata vita. Chissà perché e come lo fece, fatto sta che dal 1968 al 1975, al di là della porta della sua stanza, a insaputa di tutta famiglia, Vincenzo Rabito redasse un dattiloscritto di migliaia di pagine.
Lui, la sua vecchia Olivetti e i numerosi ricordi, dolori e felici: questi gli unici ingredienti che gli servirono per mettere nero su bianco la sua “maletrata e molto travagliata e molto deprezata vita”.
Nello scrivere queste memorie, tasto dopo tasto, 1027 pagine a interlinea zero, senza margini e fermando ogni parola con il punto e virgola, Rabito, inconsapevolmente, ha ricreato non solo la sua storia, che attraversa l’intero ‘900, ma anche un nuovo e particolarissimo linguaggio riconosciuto come una fonte storica.
L’opera che è stata ritrovata post-mortem dai figli è considerata una delle più straordinarie tra le scritture popolari, sia per la forza espressiva della lingua sia per lo stile vivacissimo, capace di far incontrare la tragedia, l’ignoranza, la forza e la sagacia di chi è non ha paura di mostrarsi, nel bene e nel male, così com’è.
Proprio come i siciliani, i più veri, sanno fare.
Dal 1999 il manoscritto originale è custodito nell’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano ed è accessibile al pubblico; dal 2007, inoltre, riconosciuto il suo valore, è stato pubblicato da Einuadi (in versione ridotta ma fedele al testo) con il titolo di Terra Matta.
E per finire, alla 69esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia la regista palermitana Costanza Quatriglio, da poco nominta direttrice del Centro Sperimentale di Cinematografia di Palermo, ha presentato l’opera in versione cinematografica, “Terramatta“, mostrando i luoghi descritti, e già visibili alla sola lettura, dove Rabito visse, in primis il suo paese: Chiaramonte Gulfi (RG).
Se vi incuriosisce questa personalità e vi trovate a leggere il manoscritto o a vedere la riproposizione della Quatriglio vi suggeriamo di fare anche un salto in paese: ritroverete non solo le atmosfere narrate ma forse la stessa energia ispiratrice che mosse Rabito alla scrittura.
Una volta giunti a Chiaramonte vi suggeriamo anche un breve percorso: cominciamo dalla quattrocentesca Chiesa Madre (Piazza Duomo), restaurata nel 1770; proseguendo lungo la Via San Paolo e via San Giovanni giungerete in un nucleo medievale che ospita l’Arco dell’Annunziata, unica porta rimasta dopo il terremoto del 1693. Più avanti potrete visitare la Chiesa di San Giovanni Battista dalla quale potrete anche godere di un panorama di particolare bellezza.
Non vi resta che scoprire, dunque, questo piccolo borgo che tirò fuori l’arte, inaspettatamente, dall’animo di un uomo “normale”.