Visti lì, sulla battigia, sembrano ciottoli troppo grandi. Pietre levigate che un gigante ha voluto lasciare sulla costa, pronte all’uso, preparate perché rimbalzassero su un mare che ciclopi e umani frequentano da 25 secoli. Eppure, sebbene neanche tutti i messinesi lo sappiano, sono la traccia più antica della civiltà che ai tempi di Socrate andava al mare a Capo d’Orlando.
Ad Agatirso – come si chiamava allora la porta dei Nebrodi sul Tirreno, in onore del figlio del re dei venti che avrebbe imposto il proprio nome alle isole Eolie che da quella costa si guardano sbuffare – si costruivano ville che oggi possiamo solo immaginare, si lavorava il marmo in lunghe cave sulla spiaggia, si realizzavano enormi terme private che, quelle sì, possiamo ancora vedere.
Sono, quei ciottoli troppo grandi, appunto una cava en plein air. Nelle poche righe di questo viaggio vi racconteremo di tutto ma non il mare che conoscete già, eppure non c’è bisogno di rinunciarvi per osservare queste rovine del V secolo avanti Cristo: la Cava di Mercadante si nasconde in uno dei tratti meno battuti, e forse più affascinanti, della costa orlandina, la spiaggia di San Gregorio.
Sono, la Cava, una striscia lunga un centinaio di metri, e larga uno o due, visibile pienamente solo con la bassa marea e per questo scoperta solo nel 1986: dischi di arenaria perfettamente simmetrici sui quali gli archeologi dibattono da trent’anni, ipotizzando a turno che fossero ruote per le macine dei mulini o, più probabilmente, il resto di una cava di pietra simile a quella, risalente allo stesso periodo, di Giardini Naxos. Sono l’antipasto, le cave. Perché poco distante, e su un sentiero sorprendentemente poco battuto, si trova un edificio romano ancora ben conservato.
Portate avanti le lancette della storia e scorrete fino al terzo secolo dopo Cristo: ai tempi di Settimio Severo, alla periferia di un impero in crisi, in una ormai spopolata Agatirso si realizzavano ville a due passi dal mare. La villa, per dire il vero, la presumiamo: gli scavi, interrotti per assenza di fondi, hanno portato alla luce solo il muro esterno, limitandosi a un assaggio della meraviglia che potrebbe essere. Eppure quell’assaggio, che gli stessi orlandini trascurano, è lì, anch’esso a due passi dal mare che migliaia di turisti frequentano ogni estate: sono le terme di Bagnoli, un impianto privato costruito intorno all’anno 200 e danneggiato solo parzialmente da una serie di terremoti un paio di secoli dopo. Costituite da otto vani, conservano un frigidarium diviso in tre ambienti, un calidarium bipartito e un tepidarium (rispettivamente le stanze per il bagno freddo, quelle per la sauna e quella intermedia, una camera di compensazione per evitare sbalzi eccessivi di temperatura).
A servizio del calidarium, dotato anche di un terzo ambiente con una vasca per l’immersione completa, era stato realizzato un praefurnium, il locale-fornace all’interno del quale veniva scaldata l’aria che circolava all’interno dell’impianto: grazie a un complicato sistema di intercapedini e di tegole tubolari ancora visibili, il calore veniva trasmesso da una stanza all’altra tramite le suspensurae, una sorta di impianto di riscaldamento ante litteram. Basta un po’ di immaginazione per un bagno caldo.
Cancellate col pensiero le erbacce che un po’ di trascuratezza ha lasciato crescere nell’impianto e immergetevi nel calidarium: la campagna, tutto intorno, sembra evocare l’Agatirso di due millenni fa, e niente che sia visibile ai vostri occhi potrà ricordarvi altro che l’apologo della lentezza, un rito che qui, in terra greca, si celebra da millenni perché sacro agli dei. Rilassatevi, dunque: chiudete gli occhi, ascoltate il vento fra gli alberi. Benvenuti nel primo millennio.
Se avete fatto questo esercizio, forse, avete dimenticato di essere venuti qui solo per il mare. Ma il mare, in fondo, è lì, a pochi metri, e a stare attenti si sente anche: dalle terme, decorate con mosaici policromi in tassellatum, cioè costituiti da tasselli di marmo bianchi, neri e rossi, si può immaginare la vita di Agatirso ai tempi dei greci – quando era una città di discrete dimensioni – e poi dei romani. Una cittadina di pescatori, di agricoltori, e a dar retta a Tito Livio anche una cittadina di bon vivant, di cultori di Dioniso deportati per questi eccessi dopo il crollo della civiltà greca.
Si può fantasticare, ma non vedere: se gli scavi condotti a Bagnoli a partire dal 1987 permettono di supporre che oltre le terme ci sia una villa, e che oltre questa esista un intero centro abitato, a un certo punto, alla fine del secolo scorso, i soldi per le ricerche sono finiti, e le terme che gli stessi messinesi non sanno di possedere sono rimaste poco più che una goccia nel mare. Una goccia accanto al mare. Quel mare sul quale i giganti di 25 secoli fa hanno dimenticato di fare rimbalzare i propri ciottoli già pronti.
Claudio Reale