Erri De Luca ha occhi di un blu simile a quello delle acque della nostra isola, che a incrociarli non lasciano scampo.
Il volto solcato dalle rughe, segni del tempo e della fatica provata sul lavoro o sulle pendici di una montagna, per scalarla in solitudine. Invisibile agli occhi, ma immediatamente manifesta, nelle sue riflessioni, una sensibilità e una chiarezza visionaria verso l’essenza delle cose e, soprattutto, della vita.

Lui che considera “valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca… il regno minerale, l’assemblea delle stelle…il vino finché dura il pasto, un sorriso involontario, la stanchezza di chi non si è risparmiato, due vecchi che si amano”.
Amante instancabile della montagna, che narra nel suo bellissimo Il peso della farfalla.
Erri De Luca è napoletano di nascita, un tempo operaio qualificato, camionista, magazziniere, muratore; oggi poeta, traduttore, ritenuto dai critici lo “scrittore del decennio”.
Lo abbiamo incontrato diverso tempo fa, agli albori di SiciliaWeekend in occasione della presentazione del romanzo I pesci non chiudono gli occhi, che suggeriamo di leggere da qui.
La Sicilia non la conosce bene o quanto vorrebbe ma conserva intatti nella memoria i ricordi del periodo della giovinezza trascorsi sull’isola; e per noi di SiciliaWeekend li racconta
così.
Erri De Luca, l’intervista
Ci parla della sua permanenza in Sicilia e di quale luogo, rimastole impresso, consiglierebbe di visitare?
“Ho passato un anno a Catania, nei miei trent’anni, come operaio di carico e scarico di aerei militari a Sigonella, ma non ho visitato e non ho fatto il turista.
Ci sono tornato molto dopo, da invitato per parlare di libri. Ho preso parte a qualche giorno di riprese cinematografiche a Favignana in un film di Costanza Quatriglio.
Ricordo ancora il disabitato centro storico di Palermo, il silenzio notturno, un sentimento di dimissioni dal passato. Consiglio la visita ai suoi mercati e uno sguardo della città dal
mare”.
Quale sito “naturale” suggerirebbe per trascorrere un weekend in Sicilia?
“Rivisiterei Favignana e l’ultima tonnara. Lì la pesca era una civiltà corale, un lascito di sapienze condivise. Rivisiterei Lampedusa, piccola porta dalla quale passa la corrente del mondo a venire, i marinai inventati dall’emigrazione”.
Infine, quale cibo gustatonell’Isola l’ha colpita particolarmente, e perché?
“La pasta alla Norma a Catania offerta da un opera-
io, mio compagno di lavoro sulla rampa bollente di Sigonella, che mi fece l’onore solenne di invitarmi a tavola apparecchiandomi un posto nella sua famiglia. Mi fece sentire un suo pari e credo che nessun re mi potrebbe offrire altrettanto. La pasta alla Norma di Salvatore conteneva la spezia impareggiabile della fraternità”.