Ribera, Comune delle arance e dello splendido castello di Poggiodiana: la storia del paese in provincia di Agrigento e cosa vedere.
Adagiata su una vasta pianura fra i due fiumi Magazzolo e Verdura, che degrada con leggeri pendenze fino al mare, la città di Ribera ha origini che risalgono alla fine del 1500.

In un clima di tranquillità dato dalla fine delle incursioni dei Turchi in Sicilia, molti contadini decisero di abbandonare le rocche fortificate e di trasferirsi in zone con terreni più fertili, molto spesso lasciandosi alle spalle i debiti contratti con i feudatari.
A fondare la città, risparmiando ai contadini le fatiche per recarsi da Caltabellotta ai suoi campi fu, nel 1636, il Principe di Paternò Luigi Guglielmo I Moncada.
Proprietario di vasti feudi, scelse il Piano di San Nicola, dal quale era possibile dominare gran parte del territorio e fruire delle sorgenti d’acqua.
Da ciò deriva l’aspetto della città, con strade larghe e bene allineate, nel rispetto di un’urbanistica d’avanguardia ancora oggi pressoché intatta.
Il nome della città
Il nome – fieramente spagnolesco – gli deriva in omaggio alla moglie del Principe Moncada, Maria Afan de Ribera, figlia del Duca di Alcalà.
La storia di questo bellissimo paese è intrecciata, per buona parte dell’ultimo secolo, con la questione della lotta al latifondo.
Una vicenda di terre incolte, di opulenza contro la miseria più nera, di conflitti e di cambi di passi ingannevoli, al punto che finì per scriverne anche Antonio Gramsci.
Si tratta di una corrispondenza intitolata “La verità sui fatti di Ribera” apparsa sull’Avanti dell’11 febbraio 1920 e inclusa nei suoi Quaderni del carcere.
La tempra e il carattere seppero presto declinare alla costituzione di una comunità solida, progredendo al miglioramento economico grazie alle cooperative agricole e ad alcune razionalizzazioni dell’agricoltura.
Ciò ha permesso a Ribera di affermarsi come uno dei primi centri della Sicilia per produzione di agrumi, fino al momento straordinario delle occupazioni delle terre incolte con la definitiva fine del latifondo.
Le arance di Ribera
L’eco di quelle rivendicazioni sociali è ancora vivo, e a quella lontana pagina di storia richiama la conquista – nel 2011 – della denominazione di origine protetta per l’arancia di Ribera.
Sì, perché Ribera è la città delle arance, e così recita un enorme cartello d’ingresso al paese con tutto l’orgoglio che esso tributa a questo frutto biondo e ombelicato che è simbolo di un’intera Sicilia.
Già nel medioevo, molti abitanti di Caltabellotta si recavano in queste terre, che, per posizione geografica, clima favorevole e presenza costante di acqua, erano fertilissime, incantevoli per la produzione pregiata anche di grano, mandorle, olive e uva.
E Ribera sembra volere proteggere questa identità agricola, il genius loci della sua nobile arancia, offrendo un intorno di assoluto pregio, quasi che non si finisca mai di visitarla nel rapporto bellissimo che il mare e la terra, qui, hanno composto a un raro equilibrio di bellezza.
Cosa vedere a Ribera
Architetture religiose e civili, come il Palazzo del Duca di Bivona con i suoi interni affrescati. La casa natale di Francesco Crispi, figura di spicco del Risorgimento italiano.
La Necropoli Anguilla, a sud dell’abitato di Ribera, con le sue tracce della media e tarda età del bronzo.
Il bellissimo museo etnoantropologico, con sede presso l’ex salone dei congressi nella Villa Comunale, che raccoglie più di 4000 reperti della civiltà contadina, pastorale ed artigianale del territorio, in una sapiente opera di recupero e di conservazione.
Infine le riserve naturali, fra tutte la foce del fiume Platani con i terreni adiacenti e la sua tipica vegetazione dunale.
Il Castello di Poggiodiana
Tuttavia è una torre merlata che compare sullo stemma di Ribera, e appartiene a uno dei luoghi più straordinari della Sicilia farla da padrone: il Castello di Poggiodiana.
Quasi non esiste, entrando in paese; e per raggiungerlo bisogna prendere una svolta che inizia a percorrere una strada malmessa e curvilinea, solitaria ma felicemente ariosa, che pare si ingorghi alle profondità di quella terra così rigogliosa di natura.
Il castello tarda a vedersi, ed è come un incanto trovarlo dopo qualche sterzata nella imponente maestosità delle sue rovine, sfrangiato ma per nulla sconfitto, su una verdissima collina.
E da lì inizia un viaggio a piedi, attraverso alcuni terreni privati, rasentando qualche casupola di poverissima e dolce architettura, in una scalata che passa attraverso decine di aranci profumatissimi, con i frutti penduli ai rami, le zolle ubertose, e un lontano rumore d’acqua.
Attraverso due differenti stradelle si arriva al ciglio del maniero, e il dominio che quella architettura ha lasciato subire adesso diventa complicità, quasi un sottile potere sulla natura.
La torre arbitra una solitudine infinita, con il suo caratteristico coronamento a beccatelli, e se da un lato si scorge ormai lontana Ribera, dall’altro ci si affaccia a uno strapiombo ai cui piedi scorre con le sue trame opaline il fiume Verdura.
Nel tremore del vento che porta il profumo delle arance echeggia la storia Ribera, come se ogni suo bene si concentrasse fra questi brani di muro, fra cellette ed archi, fra cunicoli e torrette, con lo sguardo al mare e la cultura della terra che rende questo luogo unico, e perciò incantato.
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