Archeologia, a Vallelunga Pratameno, in provincia di Caltanissetta, è emerso un antico insediamento rurale databile al I secolo dopo Cristo.
I lavori del raddoppio della linea ferrata Catania-Palermo hanno portato in luce nei giorni scorsi in località “Manca”, a Vallelunga Pratameno, un antico insediamento rurale del I secolo d.C. la cui estensione si stima dovesse interessare un’area di circa sei ettari.

Per il mondo dell’archeologia un nuovo successo. La straordinaria scoperta in provincia di Caltanissetta è avvenuta nel corso dell’attività di sorveglianza preventiva svolta dalla Soprintendenza dei Beni Culturali e Ambientali di Caltanissetta diretta da Daniela Vullo sui lavori della Italferr.
Il complesso rurale emerso, che sembra appartenere all’età romano-imperiale, con probabilità era una villa rustica il cui sostentamento era strettamente legato alle favorevoli condizioni ambientali (vicinanza al corso d’acqua del torrente Salicio, area pianeggiante, ottima esposizione) e allo sfruttamento del terreno circostante a scopi cerealicoli.
Il rinvenimento, tra gli strati di crollo, di alcune tegole con bollo, lascia pensare che la villa sia collegata ad un personaggio della cerchia pubblica romana.
Archeologia, una villa nell’area rinvenuta
Quanto alle caratteristiche della Villa rinvenuta, allo stato attuale della ricerca di archeologia è possibile identificare almeno 5 o 6 ambienti che si articolano ad Est, a Nord e a Sud di un lungo ed ampio portico a forma di L.
Nella parte oggi visibile il portico era delimitato a Sud e ad Ovest da muri esterni che inglobavano nella muratura colonne fittili poste alla distanza di circa 2 metri una dall’altra.
Queste colonne erano formate, ciascuna, dalla sovrapposizione di dischi in terracotta del diametro di 35 centimetri circa, legati tra loro da uno strato di malta.
Gli spazi fra le colonne erano probabilmente chiusi da bassi muretti (alti circa tra m 1,20/1,50) e la copertura del portico era costituita da una stretta tettoia a spiovente.
A Nord e ad Est del portico, divisi da muri ben delineati, si disponevano diversi vani (al momento tre accertati, ma più probabilmente cinque) uno dei quali direttamente comunicante col portico tramite un varco.
I vani erano a pianta quadrangolare, dotati di copertura e finalizzati a diversi utilizzi. Che uno di essi potesse fungere da magazzino o deposito sembrerebbe provato dal ritrovamento al suo interno di un “Dolio”, ovvero un grande contenitore in terracotta del tipo solitamente destinato alla conservazione delle derrate alimentari.
A Sud il portico cingeva invece un atrio o un’ampia corte scoperta, anch’essa di forma quadrangolare.
La ricerca e gli scavi
In termini generali e allo stato attuale della ricerca, si profila l’esistenza, anche in questo territorio, di un vasto appezzamento fondiario direttamente gestito da un facoltoso proprietario, vissuto tra il I e il II secolo d.C. e dotato della disponibilità economica sufficiente a costruire e mantenere efficiente una domus dotata di un cortile circondato da porticati, “peristilio”.
È molto probabile che il complesso si articolasse in due aree: una pars dominica, ovvero la zona residenziale del domus, e in una pars rustica, dove trovavano sede gli spazi e gli impianti utilizzati per la conduzione delle attività agricole.
La precisa identificazione di tali spazi funzionali potrà trovare conferma nella prosecuzione dello scavo e dell’indagine archeologica, con la piena messa in luce anche degli ambienti posti a Nord e a Ovest del portico; zone che, al momento, sono occultate sotto le pareti corrispondenti del saggio.
La presenza di alcuni elementi ceramici ipercotti e di scarti di lavorazione lascia pensare anche ad un sistema di auto-produzione dei beni necessari allo svolgimento della vita quotidiana della villa.
Vari segni di rimaneggiamento e riutilizzo – sia delle strutture rilevate che dei materiali da costruzione – attestano, peraltro, che il complesso ebbe lunga vita e conobbe nel tempo diverse fasi d’uso.
Questa ipotesi trova conferma nell’abbondanza dei tipi ceramici rinvenuti, fra i quali si distinguono lucerne, anfore, vasellame da mensa in terra sigillata (ceramica caratterizzata da una vernice rossa brillante e da ornamenti a stampo in rilievo) sia italica che africana, collocabili entro un arco cronologico compreso tra il I ed il IV secolo d.C.
Parola alla Soprintendenza
“L’indagine archeologica, che è iniziata nel mese di luglio 2020 ed è in fase di svolgimento – comunica la Soprintendente di Caltanissetta, Daniela Vullo – è attualmente limitata a un saggio di 225 metri quadrati (15 x 15 metri). Nonostante lo scavo sia ancora in atto, però, le strutture murarie emerse attestano l’importanza di un ritrovamento che, nel settore settentrionale della provincia di Caltanissetta non sembra, al momento, avere confronti”.
L’assessore ai Beni Culturali
“Ancora una volta l’attività di vigilanza preventiva svolta dalle Soprintendenze della Sicilia si rivela preziosa e ci regala una meravigliosa testimonianza della vita nel centro della Sicilia durante il periodo romano. Stiamo vivendo – dice l’assessore dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, Alberto Samonà – una stagione molto emozionante dal punto di vista dei ritrovamenti archeologici.
L’attività di costante attenzione al territorio su cui il Governo regionale è molto attento, favorita dalla normativa vigente, nell’arco di poche settimane ha fatto emergere una parte della strada romana di collegamento tra Catania e Palermo a Caltavuturo e, oggi, quest’interessante villa romana che testimonia l’attività esistente nella provincia di Caltanissetta, area della Sicilia che la storia tramanda come granaio dei romani”.