Torre di San Nicolò Palermo, la storia del monumento nel quartiere Albergheria e come visitarla durante una passeggiata a Ballarò.
Dopo il tuffo nella storia del conte di Cagliostro, ritorniamo su via Benfratelli per attraversare via Porta di Castro, strada intitolata ad una porta seicentesca non più esistente e dedicata all’allora viceré Francisco de Lemos, conte di Castro.

La porta, distrutta nell’Ottocento per ragioni di estensione di spazi urbani e di edificazione di nuove abitazioni, si trovava nei pressi dell’attuale piazza della Pinta, nelle cui immediate vicinanze si apre la via Porta di Castro.
Una targa lì affissa ricorda che questa strada traccia l’antico letto del torrente Kemonia o Cannizzaro, uno dei due corsi d’acqua – oltre al Papireto – che insieme hanno definito Palermo antica “città fra due fiumi”.
Il torrente, detto anche “del Maltempo” per via dei forti danneggiamenti ogniqualvolta straripava, sgorga dalla fossa della Garofala nell’attuale Cittadella universitaria in viale delle Scienze e fu poi deviato ed interrato.
Tagliata via Porta di Castro, immettiamoci su via San Nicolò di Bari all’Albergheria che conduce all’omonima chiesa parrocchiale all’interno del mercato di Ballarò.
Il riferimento all’Albergheria è dovuto, per distinguerla da altre chiese dedicate al Santo, tuttora esistenti oppure ormai scomparse. La devozione palermitana verso il Santo è molto antica e sempre fervida.
Ancora oggi, quando i bimbi perdono il primo dente da latte, non è il topolino a regalare il soldino, ma “Santa Nicola”, che viene pure identificato nella coccinella, simbolo dell’arrivo di liete notizie.
Dal punto in cui ci troviamo si innalza davanti ai nostri occhi la medievale torre campanaria della suddetta ed adiacente chiesa.
La storia della chiesa e della torre
Quest’ultima si ritiene edificata in tempi antecedenti al 1292, poiché in un documento notarile di quell’anno venne citata come “San Nicolò de Novo” e nel 1295, in un testamento, come “San Nicolò dei Latini”.
Dopo il 1403 fu ampliata ed impreziosita dalla regina Bianca di Navarra, consorte in seconde nozze di Martino I d’Aragona re di Sicilia. La chiesa, in conci di tufo, è strutturata su tre navate e poggia su dei pilastri, una volta colonne.
Conserva sempre tutto l’imponente fascino delle basiliche, pur avendo subito delle modifiche a partire dal 1715 quando, come racconta Gaspare Palermo, fu rimodernata dal primitivo stile goticheggiante per essere riaperta nel 1724.
Uno degli altari è dedicato a San Nicolò ed un altro laterale invece era intitolato alla Madonna della Spersa, in riferimento ad un dipinto trecentesco di autore ignoto, oggi custodito al Museo Diocesano, a ricordo dell’episodio evangelico in cui Gesù Bambino smarrì i genitori.
Tra le diverse opere che conserva, è di gran pregio un Crocifisso settecentesco attribuito a Frate Innocenzo da Petralia. La chiesa possiede due portali di accesso e, sulla parete esterna che si affaccia in via Francesco Paolo Tesauro, ancora esistono i resti di un antico affresco raffigurante San Nicola.
Inoltre antichi documenti narrano del cimitero parrocchiale di San Nicolò ubicato nell’area antistante, poi eliminato, come anche l’oratorio della chiesa (di cui rimane solo la cripta).
Ma ciò che non bisogna lasciarsi sfuggire è una visita alla suddetta torre campanaria, antica torre di guardia una volta lambita dalle acque, come narra sempre Gaspare Palermo.
La torre, sin dal 1518, possedeva un orologio a campana che scoccava la cosiddetta “Castiddana” (Castellana), ovvero 52 rintocchi alle ore due di ogni notte, per segnalare il coprifuoco e l’uscita delle ronde di vigilanza che controllavano il rientro a casa dei cittadini.
Ormai l’orologio non esiste più, essendo stato rimosso nel Novecento durante dei lavori di restauro; così come fu divelta la guglia dopo il terremoto del 1726 che provocò delle lesioni alla torre.

Come visitare la Torre di San Nicolò
Sicuramente salire sulla torre di San Nicolò all’Albergheria è un’esperienza affascinante che io personalmente non mi sono persa sin dal 2005 circa, quando seppi della sua apertura alle visite, adesso seguite dall’Associazione Terradamare, che se ne prende cura accompagnando gli utenti sulla stretta scala a chiocciola, via via per i quattro livelli della torre per giungere fino in cima.
In quest’avventura tutta in salita si può sostare ad ogni piano per ammirare la vista dalle bifore e gli arredi, come una Madonna con il Bambino ed altri custoditi in alcune teche: una statua di San Nicola, dei candelabri e delle pianete ricamate.
Il periodo dell’intrigante soffitto a capriate lignee si può collocare a cavallo fra la fine del Settecento e gli inizi del secolo successivo e non meno affascinanti sono un altro soffitto ligneo decorato, delle porzioni di maioliche pavimentali d’epoca dai delicati disegni floreali ed una piccola collezione di antiche giare di terracotta inserite in una teca scavata in una parte del pavimento.
Una volta arrivati sulla sommità della torre, le campane ad opera della rinomata, ma non più esistente, fonderia Panzera, ancora rintoccano energicamente; tanto da costringere a tapparsi le orecchie i malcapitati visitatori che si trovano lì durante lo scampanio.
Ed il magnifico panorama si estende sulle cupole delle più belle chiese di Palermo, fino a distinguere chiaramente l’orizzonte del mare. Tutto da quassù sembra più limpido e leggero, quasi a portata di mano, ma mentre la mente si distende liberandosi da ogni pensiero, ormai riempita soltanto dalle meravigliose immagini catturate dallo sguardo, è giunto il momento di discendere per ritornare alla nostra passeggiata a piedi che continueremo la prossima volta.
La guida autrice di Palermo e delle sue bellezze
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