Il podcast di viaggio emozionale in Sicilia vol. 3: una guida per chi ama viaggiare, raccontata dal personaggio letterario Iachìno bavetta.
Sapete, alle volte occorre perdersi, smarrirsi per ritrovarsi. E nel viaggio, senza perdersi non si trova mai la bellezza inaspettata. L’unico modo per trovarla, in Sicilia come altrove, è quella di uscire al primo svincolo autostradale e avanzare lungo le strade secondarie che a volte non sai neanche dove ti porteranno.
Una volta è crollato un ponte dell’autostrada che collega Palermo a Catania, all’altezza delle Madonie.
Non vi era altra scelta che affrontare le curve di queste montagne pure e incontaminate per arrivare a destinazione. Così, tanti piccoli borghi poco conosciuti e altri dal grande nome, hanno avuto riscatto e senso di rinascita.
Una strada proiettava dritta nel medioevo partendo da Scillato, il paese dell’acqua in cui i mulini seguivano il declivio della vallata. Poi via verso le vette fra castelli e case di pietra: Geraci Siculo, le Petralie, Gangi e via dicendo.
La stessa strada che è stata teatro della gara automobilistica più antica al mondo, la Targa Florio, diventa scenario per muoversi e scoprire all’insegna della lentezza. Io il circuito l’ho fatto anche in bici, volevo portarmi dietro mio compare Gerlando, ma lui si ostina a voler mantenere la pancia e a dire che la vera vacanza è quella in cui stai fermo in spiaggia a leggere il giornale all’ombra di una brandina.
Quando mi dice così lo immagino in varie mise che diventano cartoline in cui c’è lui a completare il paesaggio.
Lo vedo a Selinunte, all’ombra del tempio greco, poi a Menfi che passeggia lungo la spiaggia infinita, stando attento a non calpestare le uova di tartaruga caretta caretta. Lo osservo mentre beve acqua e anice tra le onde di pietra bianca della Scala dei turchi in provincia di Agrigento, dove è andato dopo aver ammirato la grandezza della Valle dei Templi, e tra i due lembi dell’isola delle correnti, a Siracusa, dove si incontrano il Mar Ionio e il Mar Mediterraneo.
Lui è un comodista io invece adoro gli scogli di Makari, vicino a San Vito Lo Capo e i posti in cui si possono fare i tuffi. Ma tanto in Sicilia basta scegliere. Ce n’è per tutti i gusti.

Dicevamo di perderci e niente è più bello dei paesaggi che offrono le province di Caltanissetta e Agrigento.
Strade che hanno ispirato scrittori e che sono state roccaforte di re, come il sicano Kokalos che ha scelto Sant’Angelo Muxaro come sede del suo regno. Un paesino di cui non comprendo come possa essere così bene abbarbicato su un colle dalla forma leggermente ellittica. Provate Sperlinga altrimenti, lungo la via del grano di Enna. Certe cose, se non si vedono coi propri occhi, son difficili da spiegare. In questo caso un castello di erge a strapiombo sulla pietra.
Ecco, castelli, torri e leggende, ne troverete in quantità. Tre sembrano i punti di una linea retta delle meraviglie in cui restare per sempre: Caccamo, Montalbano Elicona, Milazzo.
Strutture che hanno resistito perfettamente al tempo e alle intemperie dei tempi moderni. Luoghi in cui hai voglia di prendere fiato.
Perdersi e ritrovarsi come se terra e cielo possano ricongiungersi come per magia. I megaliti dell’Argimusco, pietre dalle incredibili forme, erette in onore degli dei, ne sono un esempio eclatante.
Ma la bellezza, lo sappiamo, è composta da infiniti frammenti che si mettono insieme per magia.
Fate un salto alla villa romana del casale di Piazza Armerina e commuovetevi pensando a quanto tempo è passato da allora.
Vorticate tra gli ori del Duomo di Monreale e della Cappella Palatina di Palermo e sentite l’abbraccio del Cristo Pantocreatore. Io quando li guardo, penso che vogliano dirmi qualcosa. Come quando guardo i picciriddi per fargli un discorso serio.
Loro, i volti divini di questi mosaici, guardano dall’alto verso il basso, così che osservandoli si possa avvertire il peso della grandezza e insieme della responsabilità cui siamo chiamati. Quella di tutelare la bellezza che abbiamo intorno, di tutelare noi stessi e gli altri, perché viaggiare è anche rinnovare la vita, propria e di chi si incontra.
Forse abbiamo corso, me ne rendo conto. Facciamo una sosta ad Avola e negli altri paesini della provincia di Siracusa per una granita alla mandorla o se preferite, a Messina per una al caffè e panna.
Gustiamola davanti al mare o ad un bel monumento, come potete fare in piazza Duomo a Catania con le minne di vergine. Tutto perché possiate riassaporare quello visto sino ad ora o immaginare ciò che vi aspetta ancora.
Poi sarà il momento della gente. Perché, credetemi, anche quella è un’attrazione qui da noi. La Sicilia ha il potere di confondere insieme lo straniero con l’uomo del posto. Non fosse per i dialetti e a volte per il colore della pelle, davvero non si noterebbe la differenza. Chi mette piede nell’Isola diventa in qualche modo siciliano.
È un atavico senso di ringraziamento per la vostra presenza e per quella di chi, nei secoli, ha mischiato le carte creando quello che siamo oggi: variegati, a volte scontrosi ma anche orgogliosi e buoni.
Siamo curiosi e vi assicuro che abbiamo una gran voglia di raccontare come siamo fatti. È per questo che dovete desiderare anche di farvi una chiacchierata con chi incontrate lungo la strada.
Provate i posti con poca gente, i paesini in cui qualcuno potrebbe anche stupirsi della vostra presenza. Sarete trattati da re. Di questi luoghi ce ne sono a destra e a manca: da Mezzojuso a Castiglione di Sicilia, passando per Novara, dove fanno una gara con una formaggio rotolante che si chiama Maiorchino. Davvero l’elenco potrebbe raggiungere quota 390, tanti quanti sono i comuni dell’Isola.
Mettetelo in conto di fare un salto anche per una giornata in uno di questi posti. Magari nel filo della letteratura come per Ficarra, dove Tomasi di Lampedusa trovò ispirazione (fra gli altri) per il suo Il Gattopardo. Coi libri potrete andare a zonzo ovunque vi piaccia. Vizzini come Porto Empedocle, la Vigata, di Camilleri. Leggete e poi prendete la cartina e partite.
Bisogna pur mangiare, però, direte voi. Lo so, avete ragione. Quello del cibo è un tour che va di pari passo con le stagioni.
Se in autunno potreste raggiungere capizzi per il suo tartufo o Castelbuono per i funghi, in inverno sarà tempo di ragù di cinghiale sull’Etna o di pasta con i broccoli in tegame con uva passa e pinoli tra le trattorie di Palermo.
La primavera fa rima con street food, perché un panino con la milza mangiato all’aperto è tutta un’altra cosa. E d’estate? C’è il pesce, la caponata di melanzane e l’agrodolce che ci riporta a settembre con la zucca rossa da friggere con la menta fresca.
La so cosa state pensando, il buongiorno si vede dal mattino. Allora immaginate una mattina d’aprile, frizzante e ancora fresca alle prime luci dell’alba.
Si dice “tinto è chi non mangia cassata la mattina di Pasqua”. La domenica è appena iniziata, le campane stanno suonando a festa. In paesi come Petralia Sottana, l’incontro tra la Madonna e Cristo risorto fanno volare in cielo colombe bianche e la musica delle bande musicali accompagna la festa. In altri centri come Prizzi, i diavoli con le loro maschere colorate vengono scacciati via e trionfa la vita.
A tavola, i canditi e la frutta sotto spirito sono appena stati poggiati per decorare un dolce che sembra una corona da re. La cassata siciliana trionfa in tutta la sua bellezza e bontà.
Tutto grazie ad uno degli alimenti simbolo della Sicilia: la ricotta di pecora. È l’essenza di dolci unici come il cannolo. Voliamo allora nei paesi di cultura arbereshe, Santa Cristina Gela e Piana degli Albanesi, per gustarne un paio e poi spostiamoci a Dattilo, una lingua di case a due passi da Trapani, per vedere come ogni cosa al mondo possa avere più facce e tutte bellissime.
Lo vogliamo un caffè, vero? Allora, già che ci siamo, andiamo a Erice, la città medievale per eccellenza. Magari la troviamo condita della sua nebbia che ne contraddistingue l’aspetto e in quel caso entriamo in un bar e ordiniamo le sue famose genovesi: pasta frolla ricolma di delicata crema pasticcera.
Passeggiamo e ci affacciamo dal castello per ammirare il mondo dall’alto. I riflessi che vedete? Si, si, li vedo anche io, sono il sale della terra. Poco più giù, quei mulini così eleganti servivano a pompare l’acqua per produrre il sale. Montagne di cristalli bianchi che condiscono le nostre pietanze rendendole saporite.
Non pensate che solo a noi piace questo spettacolo. Decine di fenicotteri rosa scelgono questo luogo per ristorarsi durante le migrazioni fra Nord e Sud.
“Proprio qui, ci credi?”, mi dice certe volte Gerlando.
“Si proprio qui, o anche a Vendicari”.
“Te lo dico io che abbiamo la fortuna di vivere in paradiso”.