Il podcast sui cannoli siciliani e la cassata di Pasqua: storia, ricette e curiosità intorno a due dolci alla ricotta che fanno impazzire il palato.
Tinto è chi non mangia cassata la mattina di Pasqua. È un modo di dire, certo, ma ci fa comprendere quanto i dolci, in Sicilia, siano anche vicini alla devozione e ai riti religiosi. Quasi un credo a sé stante, potremmo dire per giocarci su.
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Facciamo festa, griderebbe chi legge le sacre scritture, in onore della vita. Mi è capitato di sentirlo davvero, in chiesa, e via gli applausi, a seguire, in onore della fede e con un pizzico di gioia per il palato che forse immaginava già di addentare la pasta soffice del dolce da portare a tavola.
E come fai a non fare festa davanti a bontà colorate di canditi, come la cassata o ripiene di ricotta soffice come i cannoli?
Tinto in dialetto siciliano significa scuro, ma ha un’accezione negativa, non come il buon vino tinto ovvero quello rosso come lo chiamano in Spagna. Qui se una persona o una cosa è tinta, equivale all’esser meschina, brutta.
E a ragion veduta, è cattivo colui il quale, nel giorno in cui si festeggia la Resurrezione, non mette sulla tavola quell’opera d’arte zuccherata e decorata a puntino, di nome cassata. Sembra che proprio i vescovi riuniti a fine del Cinquecento a Mazara del Vallo dissero che questo dolce è irrinunciabile durante questa festività.
Immaginarla è come trovarsi di fronte ad un quadro che rapisce lo sguardo. Se il desiderio del palato non superasse quello della vista, affettare la cassata potrebbe essere davvero un peccato. Perfetta nei lineamenti, sinuosa e ricca di colori, architettonicamente contemporanea con quella copertura di colore bianco della glassa di zucchero e verde del marzapane e poi sovrastata da forme di frutta candita che la rendono preziosa, come la corona di una regina.
E dire che era nata come una pietanza povera che deriva dalle parole arabe quasar bacinella e dal latino caseum che invece indica il formaggio. Furono proprio gli arabi a portare in Sicilia alcuni dei suoi ingredienti principe, come la canna da zucchero e gli agrumi da cui si ricava la frutta candita. Nel Medioevo, si aggiunsero i sapori Normanni. Le monache della chiesa della Martorana, inventarono proprio quella pasta di mandorla che conferisce struttura a questo dolce.
Ma la cassata è nulla senza “la ciliegina sulla torta”. Sembra un gioco di parole ma è proprio la frutta che la decora a renderla un vero patrimonio dell’umanità. Qui la storia si fa intrigante e curiosa. Ci fu un signore, che di cognome faceva Gulì, che aveva un laboratorio di dolci nel centralissimo Corso Vittorio Emanuele a Palermo. Si era appassionato alla frutta candita ma, nonostante la trovata geniale, nessuno la comprava. Allora lui niente fa? La usa per decorare una cassata e la chiama cassata siciliana. Siamo a fine dell’Ottocento e questo dolce sbarca a Vienna in una importante manifestazione. La famiglia Florio ne fu una sorta di sponsor, così la cassata siciliana divenne famosa in tutto il mondo.
No, non finisce qui, perché se c’è una regina deve per forza di cose esserci anche un re. Ecco allora che sale in cattedra il cannolo.
Croccante all’esterno, apre il suo cuore morbido di ricotta al primo morso. Se siete in Sicilia potreste pensare di dedicare un vero e proprio tour per scoprire le varianti di questa goduria della pasticceria.
Potreste partire da Palermo e addentrarvi nell’entroterra verso i paesi di cultura arbereshe, quella di tradizione albanese e religione ortodossa, Santa Cristina Gela e Piana degli Albanesi.
Pensate, i due borghi si trovano sulle sponde opposte di un bellissimo lago in cui fare una passeggiata in mezzo alla natura, eppure c’è una perenne gara fra chi fa il cannolo più buono.
Quelli della provincia di Palermo sono veri e propri monumenti barocchi: grandi e grossi per imporre la loro bontà impressionando con la misura. Una scorza d’arancia candita e qualche goccia di cioccolato completano il dolce così come lo mangiamo oggi.
La stessa cosa avviene anche in provincia di Trapani, dove il gagliardetto di principe se lo contendono i minuscoli paesini agricoli di Dattilo e Napola. Anche qui è impossibile stabilire quale sia il migliore, perché sono dannatamente buoni entrambi.
Qui la ricotta viene lavorata in modo più grezzo, si apprezza la quantità che riesce a contenere il cannolo fritto che qui ha una pasta più sottile rispetto a quella di Palermo.
Vi chiedete quando sia meglio mangiare il cannolo? Quello del carnevale, periodo in cui è nato, e ancora una volta quello pasquale, di cui abbiamo detto prima. C’è una spiegazione, ed è legata al fatto che in inverno e poi con l’arrivo della primavera i campi sono verdi dopo le piogge e le pecore possono trovare erba fresca che rende la ricotta particolarmente soffice saporita.
I cannoli siciliani
Lo abbiamo fatto per la cassata non possiamo non farlo per il cannolo. Qui la curiosità di questo dolce è legata al suo nome. Questo bene assoluto della gastronomia siciliana deve il suo nome alle canne di fiume con cui veniva arrotolata la cialda croccante che contiene la crema di ricotta. Sono le stesse canne, per intenderci, che fanno risuonare i friscaletti siciliani che fanno più o meno così…. ve lo fischio.
Il merito di avercelo portato fino a noi però, è delle donne saracene che frequentavano gli harem degli emiri. per ingannare l’attesa, durante i periodi di assenza dei consorti, si dedicavano alla preparazione di cibi e dolci sopraffini. Così, l’ispirazione le portò a creare la goduria delle godurie, quel dolce che non puoi fare a meno di ordinare quando entri al bar, grosso o piccolo che sia: si chiama cannolo.
Pensate che l’antesignano di questo pasticcino piacque anche a Cicerone che lo definì, volendo tradurre vagamente: un “tubo di farina dolcissima farcito di latte”.
Lo so, adesso toccherebbe a ciascuno di noi di essere seduti a tavola, magari con un buon caffè al fianco per colazione, e affondare la forchetta in una fetta di cassata. Oppure a cena, davanti a un camino acceso o davanti al mare, a sorseggiare un marsala vergine e dare un morso ad un cannolo. Sperando che la Pasqua e con lei la bellezza di rinascita e di bontà, non tardi ad arrivare.