Letteratura africana contemporanea: cinque libri da non perdere per conoscere il continente nero e per addentrarsi nelle storie che lo contraddistinguono e ce lo fanno amare.
Come ha detto l’immenso Kapuściński, grande conoscitore e narratore del continente nero: “In Africa poche cose dipendono esclusivamente dall’Africa”.
Tra queste, c’è la letteratura. Il premio Nobel del 2021 è stato vinto da Abdulrazak Gurnah, nato nell’isola di Zanzibar, in Tanzania, e quinto autore africano ad aggiudicarsi il più famoso e prestigioso dei premi letterari.
L’Africa è un continente complesso e frastagliatissimo di etnie, lingue, religioni e culture, impossibile sintetizzarlo e circoscriverlo in categorie, per questo non si può parlare di letteratura africana restringendola in canoni o riconoscendole caratteristiche comuni, come si fa per esempio con il “realismo magico” latino-americano. È ricca, però, di scrittori eccezionali, tutti da scoprire e apprezzare oltre agli ormai celebri Nadine Gordimer e John Maxwell Coetzee, entrambi già premi Nobel.

Letteratura africana contemporanea
Vediamo allora i libri da non perdere per conoscere meglio questa fetta di pianeta che torna costantemente nelle nostre vite e per i temi più disparati: dalle vicende drammatiche sociali alla bellezza della natura, passando per i paradisi terrestri del turismo..
Nigeria – Chimamanda Ngozi Adichie – “Americanah” – Einaudi
Attraverso un romanzo di formazione, il cui fulcro è una storia d’amore a lieto fine, Chimamanda Ngozi Adichie parla di razzismo, tema ricorrente nella letteratura africana. E lo fa senza mezzi termini, raccontando, con episodi di ordinaria vita quotidiana, che il razzismo e la discriminazione esistono ancora, forti e tangibili nelle piccole cose. Oltre al colore della pelle, al crespo dei capelli, nei tratti somatici, nelle curve dei corpi, nella cultura e nelle abitudini, vive soprattutto nel tentativo, a volte grottesco, dei “neri” di cancellare le loro diversità, camuffandosi e atteggiandosi a bianchi. Tutto questo accade soprattutto in America, il paese apparentemente più democratico e cosmopolita del mondo, il paese delle pari opportunità per antonomasia, il paese dei “neri americani”.
Americanah, ormai è così che la chiamano a casa. Perché si, Ifemelu, nonostante un inizio disastroso, si era ambientata bene in America. Studente di Princeton, si era fatta molti amici, aveva avuto un paio di fidanzati molto innamorati: un bianco “Peter Pan” ricco e naïf e un “nero americano” serio e strutturato. Il suo blog, “Razzabuglio”, aveva milioni di follower e le aveva anche permesso di guadagnare tanto da poterci vivere. Ma lei decide di tornare a casa, in Nigeria. Una terra martoriata dai colpi di stato e dalla guerra civile, piena di contraddizioni, divisa in gruppi etnici e religiosi, dove ancora la maggior parte della popolazione è indigente. Ma è la Sua casa, dove il suo cuore ha lasciato le radici.
Camerun – Max Lobe – “La Trinità Bantu” – 66TH2ND
Mwána è nato in Bantuland, stato dell’Africa bantu non meglio identificato, ma vive da dieci anni in Svizzera. Si è laureato a pieni voti in comunicazione e, fino ad un inaspettato licenziamento, ha lavorato “in nero” per una ditta africana (che importa illegalmente prodotti scadenti), vendendo, porta a porta, prodotti sbiancanti e liscianti per capelli destinati a signore di colore.
Máwana incarna perfettamente “la pecora nera”, quella che, in clima di referendum, una campagna pubblicitaria xenofoba, esorta a cacciare dal recinto di pecore bianche: emigrato, nero, omosessuale, convive legato da una relazione di “troppia” (c’è un certo Dominique che salta fuori ogni tanto) con un bianco dai capelli rossi. Ormai disoccupato, fatica a mettere insieme il pranzo con la cena, perché trovare un lavoro in una svizzera con un ridicolo tasso di disoccupazione al 3%, sembra un’impresa impossibile. L’ efficienza elvetica vacilla sotto il peso di un impreparato ma cortesissimo ufficio di collocamento e la mitologica puntualità deraglia in ore di attesa alla fermata dell’autobus. Insomma l’Elvezia non è poi questo paradiso in terra che tutti credono! Come se non bastasse, la mamma si ammala di cancro, una “malattia dei bianchi”, e arriva a Lugano aggrappandosi alle capacità salvifiche di un luminare.
Si sfiora la tragedia ma il clima è da commedia. Si, perché in Bantuland, e probabilmente in altre parti del mondo in cui si vive di poco e con poco, non si piange dei guai, ne si ride. Mwána guarda tutto con un’ironia, che non scade mai in sarcasmo, ed è un vero spasso! Alla fine, incredibilmente, tutto si sistema. Sarà merito della Trinità Bantu? Un progredito scetticismo sarebbe categorico, ma … Non si sa mai!
Libia – Isham Matar – “Il ritorno” – Einaudi
La prima immagine che ho sempre associato alla parola Libia è Gheddafi, in divisa militare o avvolto nel suo turbante color deserto. In quarant’anni di dittatura è diventato una star del Mediterraneo e, destreggiandosi con abilità e cinismo, con una diplomazia spregiudicata e manipolatrice, ha imposto all’Occidente patti e misfatti. Si è arricchito smisuratamente con clamorose operazioni finanziarie (anche con un cospicuo pacchetto di azioni della Fiat…), in cambio, ha fatto da barriera ad un esodo di disperati che oggi affogano in mare.
Quando Gheddafi ha preso mio padre, ha messo me in una cella non più grande di quella in cui era lui.
Hisham Matar rientra in Libia, dopo anni di esilio, per cercare suo padre, Jaballa Matar, fervido oppositore del regime di Gheddafi, sequestrato nel 1990 e fatto sparire, per sempre, nelle fauci del carcere di Abu Salim. La mancanza di una data di morte, di una tomba su cui piangere, lasciano in sospeso il
rapporto tra padre e figlio; un padre senza tempo, che esiste ieri e oggi e sul cui sacrificio il figlio costruisce il domani.
Il ritorno è un libro doloroso, potente, struggente, che tocca il cuore; mi sono commossa spesso.
D’ora in poi, la prima immagine che assocerò alla parola Libia, sarà quella di Hisham Matar.
Nigeria – Ayòbámi Adébáyò – “Resta con me” – La Nave di Teseo
“Resta con me”, è la storia di un matrimonio infelice. Yejide e Akin si conoscono all’università, si innamorano, si sposano. Sono convinti che il loro amore basterà. Ma nella società patriarcale e poligama della Nigeria degli anni ‘80, avere figli si trasforma da forte desiderio in necessità. Per Yejide, orfana di madre, sarebbe il modo per vivere quell’affetto mancato, per Akin, realizzare quello che la società si aspetta e la donna che ama desidera. Comincia così questo romanzo “africano”, come un’ordinaria storia di grette convinzioni a cui la donna che non procrea è sottoposta nelle società tribali. Si fa di ogni per non cedere al destino: pozioni, santoni, preghiere e penitenze. Poi, un crescendo di colpi di scena cambia completamente il corso della storia. C’è molto di più! Segreti e tradimenti; malattie e inadeguatezze; silenzi e invettive.
Tutti sono, al tempo stesso, vittime e carnefici. Ma il miracolo può accadere, anche quando si fa di tutto per non sperare. È il mistero della vita che si compie.
Sierra Leone – “Memorie di un soldato bambino” – Neri Pozza
La letteratura africana è anche dolore. Ishmael è solo un bambino di 12 anni che canta in un gruppo rap nei villaggi della Sierra Leone, quando la guerra per il controllo delle miniere di diamanti, tra la milizia nazionale e i ribelli del Fronte Unito Rivoluzionario, devasta la popolazione e stermina la sua famiglia. Durante una fuga disperata, insieme ad altri 4 adolescenti, viene catturato e reclutato, a forza, dall’esercito governativo. Senza neanche rendersene conto si ritrova in braccio un kalashnikov. Indottrinato, drogato e costretto ad uccidere, perderà la sua infanzia trasformandosi da vittima in carnefice.
Sfuggito alle torture e alla ferocia di una guerra fratricida grazie all’aiuto di un gruppo di volontari di una O.N.G., Ismael oggi, ha 40anni, vive negli Stati Uniti ed è ambasciatore dell’UNICEF.
Quello dei soldati-bambini è un fenomeno drammatico e tragico che si consuma in molti paesi poveri, dilaniati da guerre combattute non più fra eserciti di Stati rivali ma tra fazioni, gruppi politici, minoranze etniche o religiose, che si misurano tra loro con tutti i mezzi a disposizione. I minori sono considerati veri e propri strumenti di guerra: spie, messaggeri, cuochi, assistenti di campo. Spesso usati per meri scopi sessuali. Alcuni vengono rapiti, minacciati e manipolati psicologicamente. Altri sono spinti dalla povertà e dal bisogno di sopravvivenza.
È un libro testimonianza pubblicato nel 2007, ma purtroppo ancora attuale e non smetterò mai di consigliarne la lettura, difficile e dolorosa ma necessaria.
Letteratura africana e non solo
Questa rubrica è curata da “Vivechilegge”, ovvero Paola Ardizzone. Oltre alla letteratura africana, potete trovare altri consigli di lettura nella sua pagina Instagram, e scriverle per eventuali collaborazioni. Se avete voglia di scoprire altro sul mondo dei libri potete spulciare nella nostra rubrica dedicata.