Film su Carla Fracci. La storia della ballerina più amata nel mondo è protagonista di un film che porta il suo nome: la trama e la recensione.
Scrive Paul Valèry: impossibile scindere il soggetto danzatore dall’oggetto-danza.
Questa affermazione prende forma e diventa concreta quando si parla di una delle icone della danza classica del nostro secolo: Carla Fracci. È stato presentato in anteprima al cinema a Milano l’8,9 e 10 novembre, il film di Emanuele Imbucci dal titolo “Carla” – nato da una coproduzione tra Rai Fiction ed Anele.
Liberamente ispirato all’autobiografia di Carla Fracci, dal titolo “Passo dopo passo – La mia storia” (a cura di Enrico Rotelli, Arnoldo Mondadori Editore, 2013), diventerà film-tv e andrà in onda sul piccolo schermo il 5 dicembre 2021, proprio un paio di giorni prima dell’apertura della Scala, considerata da tutti la vera casa di Carla Fracci. Il film è prodotto da Gloria Giorgianni ed è stato realizzato con la consulenza diretta della stessa Fracci, la quale, scomparsa nel maggio 2021, non ha purtroppo potuto godere del risultato finale delle riprese.
Chissà se si sarebbe detta soddisfatta di questo suo dipinto “accennato”. La signora della danza, sempre vestita di un bianco firmato Biagiotti, è qui raccontata negli anni dell’infanzia e del suo esordio sulle scene attraverso una narrazione cinematografica semplice e abbastanza scorrevole, caratterizzata da salti temporali.
Molta della sceneggiatura sembra sin troppo edulcorata, degna di una fiction “ben impacchettata”, ma che lascia perplessi soprattutto gli addetti ai lavori.
La trama del film su Carla Fracci
Tutto inizia con una donna di classe vestita di bianco, in taxi. È diretta alla Scala di Milano. È lei, Carla, da poco diventata madre – sotto le critiche e i pettegolezzi di tutti – e sta per affrontare una nuova sfida.
L’amico e partner, il ballerino-coreografo di grande forza e intensità, Rudolf Nureyev (nel film interpretato da Léo Dussollier) le propone di riportare in scena Lo Schiaccianoci di Cajkovskij, proprio alla Scala. Carla deve imparare una coreografia durissima, con poco allenamento alle spalle, essendo rimasta ferma per un anno dopo la nascita del figlio Francesco, ed ha solo cinque giorni di tempo.
Con un grande feedback si torna nel 1944. Carlina è una bambina sensibile e dal sorriso luminoso. Vive nella campagna lombarda insieme alla nonna e trova conforto dagli orrori della Seconda Guerra Mondiale assistendo al volo di una libellula che danza nel vento, sopra un ruscello. Il piccolo e leggero animale sembra quasi immobile: eppure muove le sue ali velocissime, con tutta l’energia. Questa sensazione di sospensione la affascinerà a tal punto da ispirarla per tutta la sua carriera sulle punte. Carla viene notata per la sua buona “musicalità” quando muove i primi passi tra valzer e tango in una balera del dopoguerra.
Da qui, l’audizione alla scuola del Teatro alla Scala a soli 10 anni, accompagnata dal padre, tranviere, il quale da quel momento penso’ bene di salutare “fischiando” con il mezzo da lui condotto ogni qualvolta transitava davanti al Teatro. È scelta subito – ma solo nel film – come una delle ragazzine idonee alla formazione, nella realtà infatti Carla entrò a far parte del gruppo delle ragazzine “da rivedere”, attraverso un breve periodo di prova. Piccole bugie da fiction.
Rapidamente vediamo una Carla adolescente, poi una ragazza nella Milano degli anni ’50-’60, ed ancora una giovane donna nelle sue esperienze estere di Londra e New York. Eccetto quello scaligero, nessun palcoscenico. Il racconto della straordinaria ascesa che la porta a calcare tutti i più importanti palchi d’Italia e del mondo, riuscendo ad incantare chiunque la veda danzare, è affidato solo ad una carrellata di titoli di giornale.
Numerose le riprese d’interni in una sala danza ai piani alti. Muri bianchi con le sbarre e pavimento con grossi listoni di legno ricreano gli ambienti dell’allora Sala Trieste del Teatro alla Scala, dalla quale Carla esce a 21 anni con un diploma da ballerina.
Il personaggio della Fracci-adulta è affidato all’interpretazione dell’attrice Alessandra Mastronardi, mentre il corpo della danzatrice e le evoluzioni tersicoree sono dell’étoile del Teatro dell’Opera di Roma, Susanna Salvi, sua controfigura. Durante le riprese delle parti danzate, attraverso una quinta nera, le due interpreti si scambiavano rapidamente i ruoli: un occhio attento però nota subito la netta differenza tra busto e gambe e riconosce facilmente il trucco. Non si dovrebbe.
Il “passo d’addio”, cioè il saggio di diploma, sancisce per Carla la conquista del ruolo principale. La solista sorprende la giuria e lo stesso regista Luchino Visconti eseguendo alla perfezione 32 pirouettes -fouettés. Poetico e determinante – nel film come nella realtà – è l’incontro con il marito Beppe Menegatti (interpretato nel film da un bravo Stefano Rossi Giordani) che resterà insieme a Carla per 57 anni. Regista degli spettacoli della moglie e padre di Francesco, Beppe era aiuto sul set per Visconti – un regista che la avrebbe amata molto, chiamandola affettuosamente “Fraccina”.
La recensione
Si evince l’intento di far emergere la Fracci come donna piuttosto che come artista. Ci si sofferma maggiormente sulla dimensione umana del personaggio, l’interiorità della bambina poi diventata una grande donna, e sull’amore per la famiglia.
Vengono raccontati episodi e momenti significativi della sua storia di vita – forse pochi nel film per esaltarne la grandezza della carriera-. “Sottolineare la forza di Carla”.
Del resto questo intendimento è stato chiaramente evidenziato alla troupe dalla stessa Carla durante le riprese – racconta la Mastronardi nella conferenza stampa alla Scala-, e condiviso col marito Beppe e la fedele collaboratrice Luisa Graziadei.
La sceneggiatura ripercorre di conseguenza il percorso umano, ancor prima che quello professionale, dell’icona della danza mondiale, sottolineandone la dimensione emotiva. Non ultimo, l’aspetto riguardante il suo privato. Le critiche e i pettegolezzi legati alla sua scelta di gravidanza diventano sfida; nonché il pretesto cinematografico dell’incipit. Carla danzò fino al quinto mese di gravidanza.
Eugenio Montale, suo caro amico, le dedicò in quel periodo una poesia: La danzatrice stanca. Ma questo il film non lo racconta.
Nella fiction come nella realtà Carla smentisce tutti i diffidenti e dopo la nascita del figlio torna a brillare.
All’amico partner Rudolf Nureyev, che la sprona al ritorno alle scene, è affidata una frase tagliente che fa riflettere: “il nostro corpo dura meno del nostro desiderio di danzare…” e “ Hai fatto un bambino, non puoi aver paura”.
Nulla o molto poco – eccetto alcune ferite ai piedi e una scivolata a causa di una caviglia affaticata – emerge infatti dello spirito di abnegazione e sacrificio necessari alla ballerina classica, alla forza di volontà che serve ad un fisico costretto ad anelare continuamente alla perfezione fisica ed estetica delle forme e degli equilibri.
“Certamente non è stato un percorso senza spine ma sicuramente felice. A volte mi chiedo ma come ho fatto?- dichiara la Fracci in una delle ultime interviste Rai”.
Sul palco
Una sola particolare scena del film restituisce al pubblico alcune delle emozioni legate al momento dell’esibizione: il sorriso interno della ballerina, il suo respiro, il sudore che scende lento sulla fronte, l’accogliere un consapevole senso di abbandono che permette al peso del corpo una leggerezza ed un’eleganza unica, le luci e le ombre sul palco, la stretta col partner, i salti e le prese. Ed ancora, il movimento delle braccia, che tanto raccontano in un corpo che danza, svelando il segreto del volo. Almeno per un istante, tendere al cielo.
Vero è che raccontare una vita cosi ricca di eventi e condensarla in 100 minuti è impresa ardua, però forse si poteva rendere più giustizia ad una eccellenza così. Si apprezza l’aspetto emotivo entro cui la fiction-Rai fa evolvere il racconto, ma c’è il rischio di far commuovere solo occhi non esperti.
Da vedere? Sì, ma senza troppe aspettative; e sapendo che Carla era molto di più di questo.
Chi è stata Carla Fracci
Carla Fracci è un simbolo dell’Italia nel mondo, al quale ha regalato momenti di rara bellezza e grazia. Carla era una donna sottile ma forte, un esempio infinito di dedizione e generosità. Donna di grande tenacia e grande dolcezza, al contempo.
Restano indelebili, in chi ha avuto l’onore di conoscerla, il suo rigore e la disciplina, e il suo sguardo di mamma.
Anche dopo l’ascesa al successo non ebbe mai l’atteggiamento della diva, e questa era la sua “grandezza naturale”. “Danzare è come respirare”, diceva Carla.
Anche quando fu piena di plausi e riconoscimenti, sotto tutti i riflettori del mondo, non dimenticò mai le sue umili origini campagnole. Questa memoria la teneva con i piedi per terra, salda ai suoi valori. “Si comincia sempre in prima posizione alla sbarra – racconta sorridendo- e ci si ritrova sempre … in prima posizione.”
Universalmente riconosciuta come una delle più grandi étoile del XX secolo e definita nel 1981 dal New York Times “prima ballerina assoluta”, Carla Fracci è stata indubbiamente un’icona della danza mondiale.
“Lei era culturalmente schierata contro una modernità fasulla“ dichiara Sgarbi in un’intervista alla Rai il giorno del suo cordoglio. Non smetteva di essere donna per farsi danza.
Carla Fracci ballava con estrema fluidità ed espressività. Le sue braccia, ali dispiegate come a voler abbracciare il mondo; la leggerezza del suo corpo indimenticabile, talmente disarticolato che sembra non avere scheletro, il suo volto sembrava dipinto da Raffaello o Leonardo, un volto parlante, un’anima vera, un corpo intelligente.
Il suo sorriso, uno dei più luminosi di questo secolo. L’ultimo suo lavoro fu a gennaio del 2021, alla Scala, per trasmettere la “sua” Giselle, sia pure indossando una mascherina, pochi mesi prima della sua scomparsa.