Selinunte beach: passeggiata fra mare e natura. Cosa vedere, il parco archeologico, la spiaggia e la meraviglia della natura.
L’inverno siciliano, si sa, regala giornate miti e luminose. Giornate in cui è bello poter rinsaldare il legame con il mare, magari andando a trovare quei “luoghi del cuore” che colorano le nostre vacanze estive, ma intrisi del fascino della desolazione, della solitudine e riconsegnati alla potenza della natura e dei suoi elementi.

Dal ripostiglio non è necessario prendere calzature tecniche, basterà un vecchio paio di scarpe da campagna, usurate, magari un po’ logore, purché solide e comode.
Si va alla foce del Modione, nella spiaggia Selinuntina, andando per la riva del Canale (o Stretto) di Sicilia, la dorata costa meridionale dell’Isola. Una passeggiata facile ma densa di suggestioni ancestrali. Intanto perché inizieremo a camminare da una delle località più celebri e controverse del trapanese, Triscina (o Triscina di Selinunte, da ormai qualche lustro) ma soprattutto perché calcheremo la battigia e le dune che ci porteranno sotto l’acropoli della greca Selinunte, uno dei prodigi urbanistici delle antiche civiltà del Mediterraneo.
Castelvetrano Selinunte
Siamo nel territorio di Castelvetrano, dove il mare argenteo di ulivi si distende verso la costa e quell’altro grande mare che guardano l’Africa e Pantelleria, che in certe giornate terse, fa capolino dall’orizzonte. Dicevamo, però, non solo bellezza, ma anche contraddizioni riferendoci in particolare alla devastazione edilizia e all’abusivismo siciliano che in Triscina ha una delle sue storie esemplari.
La “Triscina” in dialetto è la Posidonia oceanica, quella pianta, erroneamente e genericamente chiamata “alghe” dai bagnanti e dai pescatori, che costituisce uno degli habitat marini più pregevoli e ricchi di vita dei nostri mari: le praterie di posidonia sono infatti tutelate a livello internazionale. Poi il moto ondoso e il normale ciclo biologico fanno sì che i resti della posidonia si ammassino e si spiaggino sulla battigia. E lungo questa costa di posidonia se ne accumula tanta, ecco perché la Triscina.
Triscina
Triscina era, ancora negli anni ’60, una costa chilometrica ininterrotta di spiaggia deserta e dune che si spingevano anche per centinaia di metri nell’entroterra. Qualche contadino provava a coltivare vigneti e orti in quel poco di terra che interrompeva il dominio della sabbia, finché l’affare del cemento decretò la fine di quel luogo selvaggio.
Alla Triscina, d’inverno, il mare è ancora il protagonista incontrastato, domina le quinte della teoria caotica di migliaia di case e villini abusivi, condonati, irregolari, ai quali non si è riuscito a dare una parvenza di ordine e decoro. D’inverno solo qualche sparuto passante, o nessuno, d’inverno tutte le porte e le finestre serrate, il sole abbagliante sui muri e sulle miriadi di scaglie del mare.
All’ingresso di Triscina, superato l’unico benzinaio, giunti presso la “strada 1” in quello che è uno pochissimi incroci importanti della elementare rete viaria “triscinara”, si volta a sinistra e si parcheggia presso la locale biglietteria per il parco archeologico (quasi certamente chiusa mentre scriviamo), oppure al lido Mokambo, che se aperto potrà certamente proporvi qualcosa di dissetante o uno spuntino ristoratore.
L’itinerario della passeggiata
Che siate al lido o al parcheggio del parco archeologico non dovete far altro che raggiungere il mare, ormai vicinissimo. Nel pieno dell’inverno, e in particolare di questo inverno 2021/22 l’infinita spiaggia dove approdarono i dori di Megara Hyblea (presso Augusta) apparirà molto simile a ciò che videro quelle genti oltre venticinque secoli fa. A perdita d’occhio, un’infinità di rami, resti di canne, tronchi, detriti vegetali, depositati lungo la battigia e quasi a ridosso delle prime dune.
Uno spettacolo primordiale. Le piene dei fiumi hanno trascinato grandi quantità di materiale dall’entroterra, e da qui, come in un gioco di bambini il materiale dapprima defluito in mare è stato restituito dal mare stesso alla terraferma. Purtroppo non c’è solo questo generoso scambio di doni naturali, tra mare e fiumi, e non si contano oggetti di varia natura, ma di produzione inesorabilmente umana, che vanno da piccoli frammenti di plastica a grossi bidoni e altre spiacevoli amenità.
Ma il nostro sguardo si soffermerà con emozione alla vista di qualche grosso tronco che sbiancato e lisciato dall’incessante collaborazione di onde, salsedine, sole e vento sembra essersi trasfigurato in una scultura di Prassitele. Mentre procediamo verso est la collina di Selinunte si avvicina, prominente sul mare, e dal verde della macchia mediterranea (sotto cui giace gran parte della città greca) emerge nella sua perfezione il Tempio C, sulle cui metope, oggi esposte al Museo Salinas di Palermo, è scolpita l’auriga del sole.
Birdwatching a Selinunte beach
Gruppi di piccoli uccelli becchettano sulla sabbia umida della battigia, in cerca di cibo, sono i fratini, dei limicoli un tempo comuni nelle nostre spiagge e oggi sempre più rari a causa della presenza umana, in particolare durante la nidificazione che avviene a ridosso della linea del mare, tra le prime dune e la battigia (l’eccessivo disturbo di bagnanti invadenti, i cani vaganti, la pulizia meccanica delle spiagge e naturalmente la progressiva scomparsa dell’habitat adatto a questa specie sono le principali minacce).
Ma in pieno inverno non nidificano, per cui incrociarli sul nostro cammino non pregiudicherà di certo la riproduzione. Possiamo andare tranquilli. Parallele al mare, delle alte dune si sviluppano fino a qualche metro di altezza, colonizzate da piante adattate a vivere in un ambiente a suo modo estremo: la santolina delle spiagge, il ravastrello, lo sparto pungente e, recente scoperta, l’Ipomea imperati, un convolvolo degli habitat costieri che in Italia si rinviene solo in 3-4 siti tra Calabria e Sicilia (due di questi sono appunto Triscina e Selinunte).
Al di là delle dune litoranee, affacciandosi dal basamento in cemento di quella che una volta era la recinzione del Parco Archeologico, si susseguono ulteriori distese di dune che assumono quasi l’aspetto di colline, mentre nelle depressioni tra una duna e l’altra, negli inverni piovosi come l’ultimo, si formano stagni e pantani che, insieme ai laghetti e agli abbeveratoi presenti nelle campagne della zona, costituiscono preziosissimi ambienti per la riproduzione di anfibi (come il rospo smeraldino siciliano) e invertebrati, tra cui diverse specie di libellule. Le tamerici, sulle creste delle dune più alte ospitano decine di luì ed altri passeriformi (cardellini, passeri ecc.) che si spostano freneticamente da un punto all’altro.
Un binocolo e una macchina fotografica con un discreto zoom, se amate il birdwatching, sono l’ideale per fare qualche bello scatto naturalistico.
L’Acropoli selinuntina
Il culmine della passeggiata è l’arrivo presso la foce del Modione (l’antico “Selino”), che si fonde con il mare proprio sotto l’Acropoli selinuntina. Le piogge ingenti di autunno hanno totalmente mutato l’aspetto del luogo, e questo è uno degli aspetti più affascinanti che i fenomeni della natura possono offrirci: l’evoluzione e il cambiamento di scenari familiari a cui per tanti anni ci eravamo abituati.
Quello che fino a pochi mesi fa era un rigagnolo, più o meno largo, che in alcuni punti si poteva attraversare con un salto, con le piene recenti ha “sventrato” intere dune, si è allargato enormemente, creando degli ampi bacini, anse e laghetti collegati o meno al corso del fiume, a seconda della portata.
Selinunte Parco arceologico
Consigliamo di effettuare questa passeggiata in abbinamento con una visita alle più note emergenze archeologiche di Selinunte della Collina Orientale. Dopo aver goduto dei magnifici templi (quello E, o di Hera, e quello G, di Zeus), a cui si accede dall’ingresso di Marinella di Selinunte, con il biglietto in mano, una volta giunti in auto a Triscina, potrete inoltrarvi lungo la spiaggia appena descritta e poi, da lì, se avete tempo e voglia (ma ne vale assolutamente la pena), scoprire le altre bellezze di Selinunte, quelle troppo spesso ignorate perché distanti dall’ingresso principale (e unico) del Parco: ci riferiamo alla mistica e intima solennità del Santuario di Demetra Malophoros (“portatrice di Melograno”) le cui particolarissime architetture e il contesto bucolico, con la vicina fontana della Gaggera, isolato dal centro selinuntino, ne fanno un’assoluta perla.
Dalla spiaggia della foce questi luoghi si possono raggiungere in pochi minuti. Senza la spiaggia del Modione e il santuario di Malophoros non potrete mai dire di conoscere a fondo la natura più intima e ancestrale di Selinunte, la cui smagliante bellezza vi illuminerà ancora di più se goduta in una tersa giornata d’inverno o in primavera.
Testo e foto di Eduardo Di Trapani – guida escursionistica e ambientale