Maiorchino, la storia del gustoso formaggio di Novara di Sicilia e tutta le informazioni sulla gara che si svolge tra le vie del borgo.
Il Maiorchino, per chi si avvicinasse una prima volta sul web, potrebbe apparire come un formaggio che sbuca su un display e rotola sul selciato di un paese, saltando su uno scalino o allisciando il muro…
E così potrebbe presentarsi anche adesso. Ma qual è la sua storia? Cos’è il Maiorchino? Nasce tra i monti. Il suo nome sembra discenda dal grano di Maiorca, su quei campi in cui si alimentano i capi di bestiame.
È un pecorino ottenuto dalla lavorazione del latte di pecora appunto, incrociato con una percentuale inferiore di latte di capra e oggi la gara in cui è protagonista è tra i beni immateriali tutelati dall’Unesco. Come altri formaggi rientra nel computo di quelle “ruzzole” che venivano lanciate sui sentieri della transumanza, come rito apotropaico per scacciare la cattiva sorte. Un rito, insomma.

La storia del formaggio
La sua origine del gioco è molto antica dunque, pare fosse citata tanto dagli etruschi che dai romani.
A riguardo potremmo dire che potesse essere negli usi e costumi ai tempi dell’antica Noae (da cui nacque Novara di Sicilia), nata dalla preistoria e coeva delle popolazioni di cui stiamo parlando. Quanto alle caratteristiche originarie nella stessa vallata presso Fondachelli-Fantina si continua a giocare su questi sentieri ai piedi della Rocca Novara.
La caratterizzazione del Maiorchino di Novara di Sicilia, ciò che lo distingue dalle altre ruzzole del centro Italia, è il fatto che il formaggio sia entrato negli usi e costumi e nella stessa vita del luogo.
Il Maiorchino, oltrepassata la linea di confine dei sentieri in cui viene prodotto, corre nel centro storico di Novara di Sicilia. E lo fa indubbiamente con un fascino tutto suo rispetto alle vallate.
Le fonti locali lo documentano nel 1600. Questa data può essere presa come riferimento di un borgo ormai strutturato e bene organizzato. Libero, per certi versi.
La gara
Non dev’essere un caso che il percorso del Maiorchino parta dalla piazza principale “Michele Bertolami” per percorrere la via Duomo e poi scendere verso San Giorgio. Lungo San Giorgio appunto era stato autorizzato nel ‘500 un mercato di libero scambio, per concessione. La documentazione di questo mercato libero, in quest’area dove tutt’oggi si tiene il mercato mensile e la fiera del 10 agosto, coincide con buona parte del percorso del Maiorchino, prodotto d’eccellenza del posto. L’autorizzazione del mercato nel ‘500 e la documentazione del Maiorchino nel 1600 quindi sembrano strettamente connesse, quasi fosse una festa, una fuga per la vittoria. Il periodo principale del gioco tra l’altro coincide con il Carnevale, festa libertina.
Simbolo e significato. Sociologia e tradizione.
Le cose si mantengono nel tempo per una ragione; ed a volte il popolo sopravvive per le stesse tradizioni che celebra pur dimenticandosi in parte delle ragioni. Le parole in galloitalico novarese caratterizzano il gioco.
Iniziamo col dire che il Maiorchino rispetta la parità di genere, può essere “Maiurcheu” o “Maiurchea”. Non esiste una regola né asterischi.
Viene lanciato con uno spago, ‘a lazzada. Lungo il percorso principale può capitare che prenda un’altra strada detta “catafurcu”, bisogna a quel punto rimettersi in corsa rientrando da dove si è usciti. I “catafurchi” sono presenti su tutto il percorso e per questo motivo anche una squadra che avesse un grande vantaggio potrebbe perdere la partita sul rettilineo finale, che passa davanti al Teatro Riccardo Casalaina per concludersi a ridosso della via dei Mulini.
Tecniche di lancio… del formaggio
I tiri si distinguono per tecnica a seconda della posizione e della situazione. Drittu a carietta, è un tiro che dovrebbe seguire il canale di pietre e grate che si trovano vicino le porte. Viene soprattutto utilizzato per fare molta strada al primo lancio e cercare di attraversare tutta via duomo per imboccare la scalinata accanto al Duomo.
(‘Mbuccau, in questo caso è andata bene, imboccò, ha preso la strada giusta.)
‘A runcada è un tiro a giro, leggermente inclinato a destra o sinistra in base a dove gira il percorso; da qui il richiamo “da runca”, la roncola, attrezzo usato per mietere che rievoca lo stesso gesto del lancio più o meno.
‘U strittu. Nel caso di lancio dritto invece, importante, a volte decisiva, è la posizione “du strittu”, ovvero la tendenza a pendere verso destra o sinistra lungo la corsa (questo perché il lato di appoggio a terra non è mai uniforme e bastano pochi millimetri di differenza per condizionare la corsa del formaggio).
Il lancio va compiuto a piede fermo, sulla partenza o sul cerchio di gesso alla pavimentazione che delinea la forma nel punto in cui si è fermato il tiro precedente del compagno di squadra. Si procede come fosse una staffetta e solitamente si affrontano due squadre alternando i colpi.
A volte, specie nei casi in cui “catafurca”, ovvero finisce fuoristrada come si diceva, si fanno dei lanci particolari senza laccio per rientrare sul percorso.
Un lancio piatto, di chiattu, nella speranza che non si rialzi e torni indietro specie su una scalinata, questo perché si posi su uno scalino. Il lancio a volo, dritto, invece viene compiuto nell’intento che da sotto o da sopra in base al tracciato, poggi a terra e continui la sua corsa.
Al di là della tecnica di cui stiamo parlando, l’emozione più intensa è appunto quella di correre dietro al formaggio. I ragazzi a volte corrono sperando che si rompa per assaggiarne a volo un pezzo. L’eccitazione di non sapere dove vada è straordinaria. Qualcuno strilla in galloitalico “i gaemmi”, che nessuno si faccia male, che si stia attenti lungo la corsa, “i gaemmi”. Così corriamo lungo la strada del mercato, dietro un formaggio, cibando in qualche modo la nostra euforica voglia di libertà.
Il Maiorchino, che dalla transumanza antica al borgo libero, corre ancora…
Giuseppe Buemi