Favignana, il podcast sulla più grande isola delle Egadi: il mare di Cala Rossa e delle spiagge, la tonnara, il buon pesce e i luoghi dei tramonti più suggestivi.
Ascolta da qui gli altri podcast di siciliaweekend
Quando il mare è calmo e vai a piedi a vedere l’alba, il silenzio è rotto solo da qualche gabbiano che si diverte a giocare nell’aria e da qualche gatto che inizia a fare le fusa sentendo l’odore del pesce in arrivo sulla banchina. Le vecchie barche dei pescatori si ormeggiano in fila creando un arcobaleno di colori che si riflette sull’acqua.
Si ammassano le reti e si versa il pesce sui banchetti. Devi stare attento ad avvicinarti se non vuoi essere schizzato d’acqua. Molti di loro sono ancora vivi: dagli scorfani rossi ai saraghi argentati, fino ai pesci più poveri che sono ottimi per il brodo del cous cous. È il vero pesce fresco, c’è poco da fare ed è bene farne una scorpacciata mentre sei li in vacanza.
Siamo al porto ma se alzi gli occhi vedi una fortezza che si erge sulla montagna, scendi lo sguardo e tocchi la storia della Sicilia con quella che fu la tonnara Florio. Infine c’è il blu, il mare pulito della più grande Area marina protetta d’Europa. Signore e signori benvenuti a Favignana.
Basta scendere dal traghetto o dall’aliscafo e mettere piede sulla banchina per sentirsi in un altro mondo. Sono così le isole, ti fanno avere la sensazione di galleggiare su un gradino più in alto rispetto al resto del mondo. La mente si svuota, i muscoli si rilassano e si inizia a percepire un ritmo diverso, come se anche il corpo percepisse che lì, attorniati dal mare, non c’è motivo di correre.
La cosa bella di quest’isola a forma di Farfalla è che tutti i suoi luoghi più suggestivi possono essere raggiunti via terra. Che andiate a piedi o in bicicletta poco importa, non ci sarà caletta in cui non si potrà fare il bagno. Dovete solo stare attenti ad una cosa, quando al mattino scegliete la direzione da prendere: il vento. Eolo è il vero principe di questi spazi, da lui dipendono le fioriture e le buone pescate, che una scogliera sia bellissima o al contrario impraticabile.
Favignana, l’isola del vento
Se non siete pratici, il miglior consiglio è quello di chiedere alla gente del posto, in modo da andare a colpo sicuro nel lato ridossato dell’isola. Viceversa, ad aiutarvi, ci penseranno i gabbiani. Se ci fate caso, si mettono sempre non il becco controvento, come se usassero il soffio di Eolo per farsi belli e sistemare le penne. Guardate il becco del gabbiano e andate nella direzione opposta se il vento dovesse tirar forte.
Bene, adesso che abbiamo comprato il pesce e magari pensato al vino bianco da mettere in frigo per la sera, possiamo dedicarci alla scoperta dell’isola.
La cosa strana e anche curiosa di cui vi accorgerete andando a zonzo in bicicletta, è che l’isola ha da sempre avuto più una vocazione agricola che legata al mare. Troverete tante distese di grano e anche allevamenti di bovini, alcuni dei quali non è raro possano farvi compagnia davanti al mare di Cala Fumiere, lo specchio d’acqua opposto alla zona del porto.

Favignana e il tonno: la mattanza
Lo stesso mare da cui si aprivano i cancelli in ferro battuto della vecchia tonnara Florio per far andare imbarcazioni e pescatori a fare mattanza. Si, perché, senza dubbio, oltre che essere l’isola farfalla, Favignana è certamente anche l’isola del tonno. O almeno lo è stata sino all’arrivo del nuovo millennio.
All’interno del museo che oggi ospita le tartarughe marine Caretta Caretta che vengono salvate in queste acque ma anche i preziosissimi rostri della famosa battaglia delle Egadi risalenti alla prima Guerra Punica del 10 marzo 241 avanti Cristo, troverete anche le targhe in marmo delle pescate più importanti, con l’anno e il numero di tonni.
Per parlare di mattanza, la pesca del tonno come la si faceva una volta, dovete per un momento mettere maschera e tubo e immaginare di trovarvi nel blu profondo. Lì, nelle acque che costeggiano l’isola e poi si aprono verso la vicina Levanzo, i banchi di tonni ancora oggi passano dopo l’inverno. Ed è lì che venivano calati chilometri di reti annodate a mano che, come il labirinto fatto costruire dal re di Creta Minosse per rinchiudere il Minotauro che poi fu ucciso da Teseo grazie al filo di Arianna, i tonni venivano fatti “accomodare” in questo sentiero che li avrebbe poi condotti nella stanza finale: la camera della morte.
Quattro imbarcazioni con all’interno forzuti tonnaroti si avvicinavano formando un quadrato sempre più stretto. La rete, come un pavimento destinato a tornare a galla, veniva issato alle prime luci dell’alba al canto di “jammola, jiammola jammola”. Un ritro propiziatorio, un canto religioso come sempre accade quando la vita incontra la morte per rigenerarsi, sotto forma di mezzo di sopravvivenza. Da lì in poi è un attimo. L’acqua si fa stretta i tonni, a decine, centinaia a volte, iniziano a schizzare via creando una spuma densa e bianca. Poi è il momento degli arpioni. I tonnaroti agganciano le loro armi al corpo dei pesci e, ad uno ad uno li tirano su. Dura tutto pochi minuti, il Rais, il capo della mattanza, resta al centro su una minuscola barchetta e dirama gli ordini. Il mare blu, poi diventato bianco, adesso è rosso sangue. Alla fine qualcuno dei tonnaroti più famosi degli ultimi tempi, faceva il bagno in quell’acqua. Un segno di vittoria e di riuscita dopo la fatica immane.
Le cale e le spiagge dell’isola
Del tonno probabilmente parleremo anche altre volte, adesso è il momento di goderci le cale più suggestive dell’isola. Potremmo dividere l’isola nelle due ali di una farfalla, proprio come la sua forma. Da un lato c’è il mare blu, dall’altro quello turchese. A dividerle è il monte Santa Caterina che, con la sua fortezza domina l’intera isola.
Basta una bici per raggiungere la splendida Cala Azzurra, dove poter fare i fanghi grazie alle sue pietre d’argilla. Potete tornare indietro per perdervi tra le cale e le piazzole di scogli dei Calamoni, o arrivare sino alla punta estrema di punta Marsala per un bagno nelle acque trasparenti del Bue Marino. Infine giungerete a Cala Rossa, la splendida. Guardarla dall’alto, con le sue gradazioni di colore e le rocce rosse che fanno da contrasto è uno spettacolo difficile da cancellare dalla mente.
Dall’altro lato dell’isola, invece, sono i fondali la vera ricchezza. Un santuario di pesci e altri abitanti del mare. Mettete le bombole, se ne avete la possibilità, e scendete giù. Viceversa raggiungete Cala Rotonda e concedetevi lo spettacolo del tramonto.
Se avete voglia di romanticismo anche la montagna sull’isola ha il suo perché. Quella vetta che vedete, con un castello sulla cima che in realtà era una fortezza borbonica, si chiama monte Santa Caterina. Se guardate bene c’è una croce di fianco alla vetta, come una benedizione per tutti gli uomini che vanno e vengono dal mare. Ed è lì che andremo per guastarvi una vista mozzafiato su Levanzo e Marettimo.
Partiamo nel pomeriggio e ce la prendiamo comoda, la salita alla vetta non è particolarmente lunga e anche i bambini la possono affrontare lentamente. Chi vorrà, salirà dritto verso la fortezza, noi invece svolteremo a destra per trovarci a cavallo della vetta.
Una volta giunti stappate pure il vostro champagne. Nel frattempo il sole avrà iniziato a scendere dietro l’isola di Marettimo e quello che è lo scoglio più selvaggio fra le tre isole Egadi, apparirà sempre più netto e scuro fino a farci immergere in una cartolina dai colori pastello che potrebbe essere il suggello della nostra permanenza qui.
I capperi e il tufo
No non è tutto, certamente. Ci sono almeno un paio di cose che passano quasi inosservate ma che fanno parte dell’essenza di questo posto: sono il tufo e i capperi. Già, proprio quelli che condiscono le nostre insalate e il pane cunzato.
Del tufo, che ha fornito i blocchi per costruire tutte le case del paese e ha creato particolarissimi giardini ipogei che troverete andando a zonzo, voglio ricordare una persona che non c’è più. Si chiamava Zu Sarinu, era vecchio e stava in piazza a costruire sculture di pietra. Il tufo si sbriciola, è leggero e si lavora senza troppa difficoltà. Una cosa semplice come i volti e le barchette che costruiva per venderle o regalarle ai bambini di passaggio. L’effimero ma intenso valore della semplicità.
Dei secondi, invece, dei capperi dico che, oltre al gusto salato che inebria quando li mettete in bocca a sciogliersi come una caramella o li adagiate su una ricciola da cuocere in umido, è il fiore che dovete tenere a mente. Un petalo che passa dal bianco al viola passando da un lilla che sembra uscito dall’acquerello di un artista. Sembrano le ali di una farfalla questi petali, proprio come quest’isola, di nome Favignana, pronta a farci volare insieme a lei.